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Why I’m really fascinated by Universal Basic Income and why I not consider it utopistic

Universal Basic Income is not a recent idea, we know.

But, the new way the entire humanity is called to go through, make the UBI — again, Universal Basic Income, making it short — a fascinating and powerful idea to, at least, we can refer to.

Now more than the past we really need a powerful-interconnected-good-applicated-solutions to build a better future for all, in a way that needs to be at the same time: quick, sustainable and distribuited.

The majority of peoples are busy to get sufficient money to reach the end of the month, to build a relative comfortable life for themselves, for their families and, above all, for their sons and daughters.

This is, for me, a losing game.

Try to imagine for a moment you are not slave of the money anymore: you can do everything you really want to do, now, without problems about getting the primary needs. And now, go over the initial identity shock you probably can have — «oh, I have sufficient money and sufficient time to re-invent my life… fuck, what I have to do now?» — .

You are free to do everything you want. Now.

Yes, a lot of people initially go with every lazy thing, thinking someone other have to do this, or that thing. And yes, a lot of people still try to get rich or super-powered in some manner. You can’t expect to solve this in a snap.

But, hey, a counter part of a very lot peoples will start to build something wonderful: about culture, about technology, about innovation, about music, about art, about sustanaibility, about agricolture… fill the list in the way you wish.

That’s the way we can have full-optional electric cars, the best technology to communicate, to do our new concept of work, to have the best food, to breathe the best air we can, to swim in a clean sea and ocean — without plastic or toxic-something — and, oh, the time to learn something good. Without anxiety. You have all the time to do it.

In my opinion we’ll have peoples who love to be involved in agriculture, peoples who love build technology, peoples who love to imagine something really innovative and good for us, peoples who love to make music, peoples who love to help others, and go on.

Now imagine you can be yourself. Deeply yourself.

And now, imagine that all this can build a distributed common good for every one.

It’s not impossible to do. If you think, it’s not so impossible. Maybe difficult, yes, at the first time, and yes, we can need to make some govern over it, initially, but absolutely not impossible.

We don’t need money, anymore, because we all have sufficient money to build the best thing we are talented for.

And the best part is that things are inevitable going to that way: you can access to many things for free — for example having a blog in Medium, without paying nothing— or with a really small price than before.

Making money is quickly becoming a nonsense goal. We still need it, but it is losing their sense as an organizing-society-model.

That’s why I’m really fascinating by Universal Basic Income idea, without sounding utopistic, now.

What about you? Are you confident in this way?

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Quasi.

Ancor peggio della convinzione del no,
l’incertezza del forse è la disillusione di un”quasi”.
E’ il quasi che mi disturba, che mi intristisce,
che mi ammazza portando tutto quello che poteva essere stato e non è stato.
Chi ha quasi vinto gioca ancora,
Chi è quasi passato studia ancora,
Chi è quasi morto è vivo,
Chi ha quasi amato non ha amato.
Basta pensare alle opportunità che sono scappate tra le dita,
alle opportunità che si perdono per paura,
alle idee che non usciranno mai dalla carta
per questa maledetta mania di vivere in autunno.
Mi chiedo, a volte, cosa ci porta a scegliere una vita piatta;
o meglio, non mi chiedo, contesto.
La risposta la so a memoria,
è stampata nella distanza e freddezza dei sorrisi,
nella debolezza degli abbracci,
nell’indifferenza dei “buongiorno” quasi sussurrati.
Avanza vigliaccheria e manca coraggio perfino per essere felice.
La passione brucia, l’amore fa impazzire, il desiderio tradisce.
Forse questi possono essere motivi per decidere tra allegria e dolore, sentire il niente, ma non lo sono.
Se la virtù stesse proprio nei mezzi termini, il mare non avrebbe le onde, i giorni sarebbero nuvolosi
e l’arcobaleno in toni di grigio.
Il niente non illumina, non ispira, non affligge, nè calma,
amplia solamente il vuoto che ognuno porta dentro di sè.
Non è che la fede muova le montagne,
nè che tutte le stelle siano raggiungibili,
per le cose che non possono essere cambiate
ci resta solamente la pazienza,
però, preferire la sconfitta anticipata al dubbio della vittoria
è sprecare l’opportunità di meritare.
Per gli errori esiste perdono; per gli insuccessi, opportunità;
per gli amori impossibili, tempo.
A niente serve assediare un cuore vuoto o risparmiare l’anima.
Un romanzo la cui fine è istantanea o indolore non è un romanzo.
Non lasciare che la nostalgia soffochi, che la routine ti abitui,
che la paura ti impedisca di tentare.
Dubita del destino e credi a te stesso.
Spreca più ore realizzando piuttosto che sognando,
facendo piuttosto che pianificando, vivendo piuttosto che aspettando
perchè, già che chi quasi muore è vivo,
chi quasi vive è già morto!!!

Luìs Fernando Verìssimo

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I dieci ladri della tua energia

  1. Lascia andare le persone che condividono solo lamentele, problemi, storie disastrose, paura e giudizio sugli altri. Se qualcuno cerca un cestino per buttare la sua immondizia, fa sì che non sia la tua mente.
  2. Paga i tuoi debiti in tempo. Nel contempo fai pagare a chi ti deve o scegli di lasciarlo andare, se ormai non lo può fare.
  3. Mantieni le tue promesse. Se non l’hai fatto, domandati perché fai fatica. Hai sempre il diritto di cambiare opinione, scusarti, compensare, rinegoziare e offrire un’alternativa ad una promessa non mantenuta; ma non farlo diventare un’abitudine. Il modo più semplice di evitare di non fare una cosa che prometti di fare e dire no subito.
  4. Elimina nel possibile e delega i compiti che preferisci non fare e dedica il tuo tempo a fare quelli che ti piacciono.
  5. Permettiti di riposare quando ti serve e dati il permesso di agire se hai una buona occasione.
  6. Butta, raccogli e organizza, niente ti prende più energia di uno spazio disordinato e pieno di cose del passato che ormai non ti servono più.
  7. Dà priorità alla tua salute, senza il macchinario del tuo corpo lavorando al massimo, non puoi fare molto. Fai delle pause.
  8. Affronta le situazioni tossiche che stai tollerando, da riscattare un amico o un famigliare, fino a tollerare azioni negative di un compagno o un gruppo; adotta l’azione necessaria.
  9. Accetta. Non per rassegnazione, ma niente ti fa perdere più energia di litigare con una situazione che non puoi cambiare.
  10. Perdona, lascia andare una situazione che è causa di dolore, puoi sempre scegliere di lasciare il dolore del ricordo.

Non ne ho la certezza, ma questo decalogo viene attribuito al Dalai Lama.

ambien online

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L’anno dell’uragano.

Ore 18.30

In un pomeriggio più caldo di due ratti che trombano in un calzino di lana, John McBride, uno e ottantacinque abbondanti, quasi cento chili, le manone come prosciutti, un fisico da cinghiale selvatico con un carattere dello stesso genere, arrivò all’isola di Galveston col traghetto che veniva dalla costa del Texas; aveva una sei colpi sotto il spprabito e un rasoio in una scarpa.

Mentre il traghetto attraccava, McBride mise giù la valigia, si tolse la bombetta, prese un bel fazzoletto bianco nuovo di zecca da una tasca del soprabito, lo usò per asciugare l’inceratino della bombetta, poi per detergersi il sudore dalla fronte, quindi se lo passò sui radi capelli neri per rimettersi infine il cappello.

A San Francisco un vecchio cinese gli aveva detto che i capelli li stava perdendo perché portava sempre il cappello, e McBride aveva deciso che poteva anche avere ragione; però adesso il cappello lo portava per nascondere la propria calvizie. All’età di trent’anni sentiva di essere troppo giovane per perdere i capelli.

Il cinese gli aveva venduto a una cifra considerevole un tonico dall’odore dolciastro che avrebbe dovuto risolvere il suo problema. McBride lo usava con devozione religiosa, strofinandoselo sullo scalpo. Finora, l’unico effetto visibile era stata la lucidatura della sua pelata. Se mai fosse tornato a San Francisco era il caso di andare a trovare quel cinese, magari per fagli un paio di bernoccoli sulla testa.

Il giorno dell’uragano“,
Joe R. Lansdale — pag. 19-20
(Fanucci Editore)

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Quando il tango incontra The Movie Project…

E’ l’estate all’insegna di un connubio assolutamente perfetto dove il tango, sensuale e avvolgente, incontra l’atmosfera magica catturata dalla prima serie tematica del The Movie Project.

E’ il momento di The Movie Project meets: Tango, una collezione imperdibile di scatti eseguiti durante un ciclo di milonghe al Lido di Venezia in collaborazione con gli amici di Tangoblivion, con persone squisite e ballerini eccezionali.

The Movie Project meets Tango: One

Maggiori informazioni sul nostro sito aziendale, online è disponibile anche la proiezione delle immagini mostrata nella serata finale.

Come esperienza prettamente personale devo dire che il tango ha davvero fornito gli spunti e le occasioni (a volte perse, ahimè, per questo o quell’altro imprevisto) che intuivo potesse dare al nostro progetto cine-foto-matografico, e il risultato ha addirittura superato tutte le aspettative. 🙂

A vedere il risultato finale, fa venire voglia di iniziare a ballare il tango! 😉

Buona visione!

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Venezia, rinascere dalle piccole cose.

Comunità veneziana.

Erano gli inizi del 400 d.C. quando gli storici collocano la nascita di quella comunità, di quel manipolo di audaci, se vogliamo, che sfidarono le avversità in una serie di isolette sperdute e paludose lungo il corso di un canale profondo chiamato rivus prealtus, rivus altus, Rialto.

Un gruppo di persone che, uniti dalle avversità, hanno sviluppato negli anni un forte senso di comunità, che con fierezza e indipendenza, ha portato alla creazione di una città, una storia e una cultura unica ed intensa.

Un Comune che oltre a vincere le avversità naturali, come paludi, fango, fiumi, maree, è riuscito anche a conquistare e costruire un vero e proprio Impero.

Venezia e la sua decadenza.

Questa mattina leggo sul Gazzettino un articolo in cui mi riscopro essere pienamente d’accordo.

Che Venezia stia subendo da anni una sorta di cammino verso un coma irreversibile è sotto gli occhi di tutti. L’esodo verso la terraferma è in atto da molti anni e le cause sono tra le più varie, ma non è un mistero che anche il costo della vita fa la sua buona parte.

I giovani che vogliono rimanere, o venire, si trovano comunque con una città costosa dove vivere, ma che più che altro tende ad offrire sempre meno servizi, alcuni di bisogno quotidiano.

Numerose sono le case e i palazzi acquistati da tutti (compresi russi, cinesi, giapponesi e via dicendo) tranne che dai veneziani stessi.

Anche le isole sono in vendita.

Il punto è che molti di loro Venezia non la vivono, la tengono semplicemente come meta di villeggiatura. Esempio ne sono le numerose case inutilizzate per gran parte dell’anno.

Eppure basta poco…

Vittorio Tabacchi, proprietario della Safilo, si rivolge a quelle personalità e autorità che hanno sia il potere che il dovere di non far andare alla deriva una città e una cultura unica al mondo, affermando varie cose di cui riporto i due passaggi che ritengo più signiticativi dall’articolo pubblicato oggi nel Gazzettino:

Basterebbe che facessero una leggina grande così, forse anche la Regione, che dicesse: “Cosa manca a Venezia? I panettieri, gli scarpari, i casolini. Bene: i panettieri che vengono ad aprire a Venezia, non pagano le tasse per dieci anni”. Oppure avranno la casa gratis. Insomma, si deve andare a vedere cosa manca per mantenere in vita questa città, e dare una soluzione immediata.

[…]

Basterebbe un commissario non politico, l’ordinaria amministrazione: qualcuno che costruisse il ponticello, che incentivasse panettieri, falegnami, ciabattini, idraulici. Partiamo dalle piccole cose: sennò il Mose sarà perfettamente funzionante il giorno in cui non servirà più. Invece se non si buttano sul faraonico, non sono contenti. Poi si ritrovano con il ponte di Calatrava fermo da cinque anni: i veneziani che hanno costruito Rialto in metà tempo si stanno rivoltando nella tomba. E nessuno si vergogna: tutti belli, felici, sorridenti che sproloquiano al popolo. Troppa filosofia.

Mancano i veneziani, insomma, quel “senso della città” che anche ai veneziani stessi manca. Servizi, in primis.

Tanto per fare un esempio, con i soldi spesi per il ponte fantasma, si sarebbero potuti mettere a posto almeno 10 ponti in pietra mezzi pericolanti, che in tanti usano per andare a fare la spesa. O alcune fondamenta che ne abbisognano. O tenere aperto qualche asilo in più. O dare un po’ più di gioia ai visitatori e agli stessi veneziani quando si festeggia il Redentore, il Carnevale, la Regata Storica.

O dare più evidenza a numerose altre dimostrazioni culturali minori.

Insomma… far vivere la città.

E noi veneziani?

Naturalmente sarebbe un errore volgere sempre lo sguardo verso l’esterno, additando sempre ad altri “colpe” o mancanze che probabilmente siamo i primi ad avere.

Che so, magari si può iniziare evitando di buttare carte e sigarette (per limitarmi a questo… ma dovrei aggiungere anche lavatrici, gomme di automobili, sedie, biciclette…) in acqua e in città.

Magari si può iniziare ad usare prezzi meno turistici e più cittadini, e non affidandosi al “tanto turismo ce n’è”.

Magari iniziare per primi, avendo un’attività, a proporre servizi utili alla cittadinanza, e non aspettare che i servizi vengano attivati.

Magari recuperare quel senso di assemblea popolare (al tempo chiamata Arengo) che non si faccia problemi ad esprimere la propria opinione, ma anche e soprattutto ottenere che venga messa in pratica la decisione popolare.

Magari avere un Comune che dialoghi con i cittadini, che raccolga le loro idee (e di idee buone ce ne sono) e abbia l’obiettività di riconoscerle valide e metterle in pratica, senza spendere inutili soldi a favore di altrettanti progetti inutili o sostenere ancora più inutili no-global (inutile negare che in un modo o nell’altro i soldi vengono spesi anche per loro), che tutto fanno tranne che essere costruttivi.

Insomma… troppo idealismo? Non credo… in noi batte il cuore della Repubblica del Leone, perché non dovremmo tornare a ruggire? 🙂

anastrazole online

Vecchi commenti:

  • 03.apr.2007 | scritto da: Luca
    Il problema è che a noi italiani manca da tempo un senso di appartenenza. Dobbiamo riprendere a frequentare attivamente le nostre città, paesi, province. Ricominciare a usare le strade, pulirle dalle macchine e dalla sporcizia. Nessuno si sognerebbe di spegnere una sigaretta nel proprio salotto di casa, ma nessuno si cura di buttarle nei cestini in strada. Perchè non pensiamo, e usiamo, le nostre città come un nostro salotto? Dobbiamo ricominciare a frequentare le strade, apprezzare i luoghi, interessarsi delle nostre “origini” perchè molto sta scomparendo, feste di paese, ricorrenze, particolarità varie. Venezia ne soffre perchè soffre di turismo soffocante, altre città ne soffrono per una brutta malattia chiamata “indifferenza”.
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I Mabinogion.

Ho iniziato a leggere un nuovo libro, una serie di racconti della letteratura gallese medievale. Riportando quanto scrive chi ne sa più di me:

Opera “collettiva” di autori sconosciuti, a lungo tramandati in forma orale, i racconti dei Mabinogion rappresentano un compendio della mitologia gallese. La loro trascrizione risale alla metà del XII secolo ma la loro origine è molto più antica. Praticamente illeggibili per chiunque non abbia una profonda conoscenza delle forme linguistiche celtiche medievali, cominciarono a essere noti, tradotti in inglese, a partire dal 1850. Nelle mani di Evangeline Walton la materia di questi racconti di magia e di avventura si è trasformata in un ciclo di quattro romanzi, ponendosi come un importante esempio di narrativa fantastica moderna. Un’atmosfera magica, tra avventure di cavalieri e contese regali, amori contrastati, foreste oscure e spazi sconfinati.

La mia lettura è ancora in corso nel primo racconto (di 4 che sono presenti nel libro) e devo dire che per alcuni versi non è propriamente un libro facile da leggere, o per lo meno non scorrevole in maniera garantita per tutte le menti. Però è molto affascinante, soprattutto se si è amanti del genere “Il Signore degli Anelli”.

Qualche piccola ricerca su Google mi ha portato a scoprire che c’è veramente un intero mondo che ruota attorno ai “Mabinogion” (“per forza!” dirà giustamente qualcuno 🙂 ).

Per comodità ne riporto qualcuno di diretto, che mi ha colpito:

In inglese:

In italiano: