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Venezia, rinascere dalle piccole cose.

Basterebbero poche cose, ben fatte, e una rinascita del senso di comunità veneziano per riscattare Venezia da una decadenza sempre più evidente. Anche Vittorio Tabacchi, proprietario della Safilo, è d’accordo.

Comunità veneziana.

Erano gli inizi del 400 d.C. quando gli storici collocano la nascita di quella comunità, di quel manipolo di audaci, se vogliamo, che sfidarono le avversità in una serie di isolette sperdute e paludose lungo il corso di un canale profondo chiamato rivus prealtus, rivus altus, Rialto.

Un gruppo di persone che, uniti dalle avversità, hanno sviluppato negli anni un forte senso di comunità, che con fierezza e indipendenza, ha portato alla creazione di una città, una storia e una cultura unica ed intensa.

Un Comune che oltre a vincere le avversità naturali, come paludi, fango, fiumi, maree, è riuscito anche a conquistare e costruire un vero e proprio Impero.

Venezia e la sua decadenza.

Questa mattina leggo sul Gazzettino un articolo in cui mi riscopro essere pienamente d’accordo.

Che Venezia stia subendo da anni una sorta di cammino verso un coma irreversibile è sotto gli occhi di tutti. L’esodo verso la terraferma è in atto da molti anni e le cause sono tra le più varie, ma non è un mistero che anche il costo della vita fa la sua buona parte.

I giovani che vogliono rimanere, o venire, si trovano comunque con una città costosa dove vivere, ma che più che altro tende ad offrire sempre meno servizi, alcuni di bisogno quotidiano.

Numerose sono le case e i palazzi acquistati da tutti (compresi russi, cinesi, giapponesi e via dicendo) tranne che dai veneziani stessi.

Anche le isole sono in vendita.

Il punto è che molti di loro Venezia non la vivono, la tengono semplicemente come meta di villeggiatura. Esempio ne sono le numerose case inutilizzate per gran parte dell’anno.

Eppure basta poco…

Vittorio Tabacchi, proprietario della Safilo, si rivolge a quelle personalità e autorità che hanno sia il potere che il dovere di non far andare alla deriva una città e una cultura unica al mondo, affermando varie cose di cui riporto i due passaggi che ritengo più signiticativi dall’articolo pubblicato oggi nel Gazzettino:

Basterebbe che facessero una leggina grande così, forse anche la Regione, che dicesse: “Cosa manca a Venezia? I panettieri, gli scarpari, i casolini. Bene: i panettieri che vengono ad aprire a Venezia, non pagano le tasse per dieci anni”. Oppure avranno la casa gratis. Insomma, si deve andare a vedere cosa manca per mantenere in vita questa città, e dare una soluzione immediata.

[…]

Basterebbe un commissario non politico, l’ordinaria amministrazione: qualcuno che costruisse il ponticello, che incentivasse panettieri, falegnami, ciabattini, idraulici. Partiamo dalle piccole cose: sennò il Mose sarà perfettamente funzionante il giorno in cui non servirà più. Invece se non si buttano sul faraonico, non sono contenti. Poi si ritrovano con il ponte di Calatrava fermo da cinque anni: i veneziani che hanno costruito Rialto in metà tempo si stanno rivoltando nella tomba. E nessuno si vergogna: tutti belli, felici, sorridenti che sproloquiano al popolo. Troppa filosofia.

Mancano i veneziani, insomma, quel “senso della città” che anche ai veneziani stessi manca. Servizi, in primis.

Tanto per fare un esempio, con i soldi spesi per il ponte fantasma, si sarebbero potuti mettere a posto almeno 10 ponti in pietra mezzi pericolanti, che in tanti usano per andare a fare la spesa. O alcune fondamenta che ne abbisognano. O tenere aperto qualche asilo in più. O dare un po’ più di gioia ai visitatori e agli stessi veneziani quando si festeggia il Redentore, il Carnevale, la Regata Storica.

O dare più evidenza a numerose altre dimostrazioni culturali minori.

Insomma… far vivere la città.

E noi veneziani?

Naturalmente sarebbe un errore volgere sempre lo sguardo verso l’esterno, additando sempre ad altri “colpe” o mancanze che probabilmente siamo i primi ad avere.

Che so, magari si può iniziare evitando di buttare carte e sigarette (per limitarmi a questo… ma dovrei aggiungere anche lavatrici, gomme di automobili, sedie, biciclette…) in acqua e in città.

Magari si può iniziare ad usare prezzi meno turistici e più cittadini, e non affidandosi al “tanto turismo ce n’è”.

Magari iniziare per primi, avendo un’attività, a proporre servizi utili alla cittadinanza, e non aspettare che i servizi vengano attivati.

Magari recuperare quel senso di assemblea popolare (al tempo chiamata Arengo) che non si faccia problemi ad esprimere la propria opinione, ma anche e soprattutto ottenere che venga messa in pratica la decisione popolare.

Magari avere un Comune che dialoghi con i cittadini, che raccolga le loro idee (e di idee buone ce ne sono) e abbia l’obiettività di riconoscerle valide e metterle in pratica, senza spendere inutili soldi a favore di altrettanti progetti inutili o sostenere ancora più inutili no-global (inutile negare che in un modo o nell’altro i soldi vengono spesi anche per loro), che tutto fanno tranne che essere costruttivi.

Insomma… troppo idealismo? Non credo… in noi batte il cuore della Repubblica del Leone, perché non dovremmo tornare a ruggire? 🙂

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Vecchi commenti:

  • 03.apr.2007 | scritto da: Luca
    Il problema è che a noi italiani manca da tempo un senso di appartenenza. Dobbiamo riprendere a frequentare attivamente le nostre città, paesi, province. Ricominciare a usare le strade, pulirle dalle macchine e dalla sporcizia. Nessuno si sognerebbe di spegnere una sigaretta nel proprio salotto di casa, ma nessuno si cura di buttarle nei cestini in strada. Perchè non pensiamo, e usiamo, le nostre città come un nostro salotto? Dobbiamo ricominciare a frequentare le strade, apprezzare i luoghi, interessarsi delle nostre “origini” perchè molto sta scomparendo, feste di paese, ricorrenze, particolarità varie. Venezia ne soffre perchè soffre di turismo soffocante, altre città ne soffrono per una brutta malattia chiamata “indifferenza”.

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