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I Mabinogion.

Ho iniziato a leggere un nuovo libro, una serie di racconti della letteratura gallese medievale. Riportando quanto scrive chi ne sa più di me:

Opera “collettiva” di autori sconosciuti, a lungo tramandati in forma orale, i racconti dei Mabinogion rappresentano un compendio della mitologia gallese. La loro trascrizione risale alla metà del XII secolo ma la loro origine è molto più antica. Praticamente illeggibili per chiunque non abbia una profonda conoscenza delle forme linguistiche celtiche medievali, cominciarono a essere noti, tradotti in inglese, a partire dal 1850. Nelle mani di Evangeline Walton la materia di questi racconti di magia e di avventura si è trasformata in un ciclo di quattro romanzi, ponendosi come un importante esempio di narrativa fantastica moderna. Un’atmosfera magica, tra avventure di cavalieri e contese regali, amori contrastati, foreste oscure e spazi sconfinati.

La mia lettura è ancora in corso nel primo racconto (di 4 che sono presenti nel libro) e devo dire che per alcuni versi non è propriamente un libro facile da leggere, o per lo meno non scorrevole in maniera garantita per tutte le menti. Però è molto affascinante, soprattutto se si è amanti del genere “Il Signore degli Anelli”.

Qualche piccola ricerca su Google mi ha portato a scoprire che c’è veramente un intero mondo che ruota attorno ai “Mabinogion” (“per forza!” dirà giustamente qualcuno 🙂 ).

Per comodità ne riporto qualcuno di diretto, che mi ha colpito:

In inglese:

In italiano:


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E’ Natale, una storiella, auguri.

Due uomini, entrambi molto malati, occupavano la stessa stanza d’ospedale. A uno dei due uomini era permesso mettersi seduto sul letto per un’ora ogni pomeriggio per aiutare il drenaggio dei fluidi dal suo corpo.

Il suo letto era vicino all’unica finestra della stanza. L’altro uomo doveva restare sempre sdraiato.

Infine i due uomini fecero conoscenza e cominciarono a parlare per ore. Parlarono delle loro mogli e delle loro famiglie, delle loro case, del loro lavoro, del loro servizio militare e dei viaggi che avevano fatto.

Ogni pomeriggio l’uomo che stava nel letto vicino alla finestra poteva sedersi e passava il tempo raccontando al suo compagno di stanza tutte le cose che poteva vedere fuori dalla finestra.

L’uomo nell’altro letto cominciò a vivere per quelle singole ore nelle quali il suo mondo era reso più bello e più vivo da tutte le cose e i colori del mondo esterno.

La finestra dava su un parco con un delizioso laghetto.

Le anatre e i cigni giocavano nell’acqua mentre i bambini facevano navigare le loro barche giocattolo. Giovani innamorati camminavano abbracciati tra fiori di ogni colore e c’era una bella vista della città in lontananza.

Mentre l’uomo vicino alla finestra descriveva tutto ciò nei minimi dettagli, l’uomo dall’altra parte della stanza chiudeva gli occhi e immaginava la scena.

In un caldo pomeriggio l’uomo della finestra descrisse una parata che stava passando.

Sebbene l’altro uomo non potesse sentire la banda, poteva vederla.

Con gli occhi della sua mente così come l’uomo dalla finestra gliela descriveva.

Passarono i giorni e le settimane.

Un mattino l’infermiera del turno di giorno portò loro l’acqua per il bagno e trovò il corpo senza vita dell’uomo vicino alla finestra, morto pacificamente nel sonno.

L’infermiera diventò molto triste e chiamò gli inservienti per portare via il corpo.

Non appena gli sembrò appropriato, l’altro uomo chiese se poteva spostarsi nel letto vicino alla finestra.

L’infermiera fu felice di fare il cambio, e dopo essersi assicurata che stesse bene, lo lasciò solo.

Lentamente, dolorosamente, l’uomo si sollevò su un gomito per vedere per la prima volta il mondo esterno.

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Si sforzò e si voltò lentamente per guardare fuori dalla finestra vicina al letto. Essa si affacciava su un muro bianco.

L’uomo chiese all’infermiera che cosa poteva avere spinto il suo amico morto a descrivere delle cose così meravigliose al di fuori da quella finestra.

L’infermiera rispose che l’uomo era cieco; e non poteva nemmeno vedere il muro.

Epilogo: vi è una tremenda felicità nel rendere felici gli altri, anche a dispetto della nostra situazione.

Un dolore diviso è dimezzato, ma la felicità divisa è raddoppiata. Se vuoi sentirti ricco conta le cose che possiedi che il denaro non può comprare.

L’oggi è un dono, è per questo motivo che si chiama presente.

L’origine di questa storia è sconosciuta, ma ancora grazie a Francesca per avermela inviata.

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La legge del Karma, spiegata ad un bambino di Mohan

Padre e figlio stanno passeggiando nella foresta.
A un certo punto, il bambino inciampa e cade.

Il forte dolore lo fa gridare: “Ahhhhh!”. Con sua massima sorpresa, ode una voce tornare dalla montagna: “Ahhhhh!”. Pieno di curiosità, grida: “Chi sei?” – ma l’unica risposta che riceve è:”Chi sei?”. Questo lo fa arrabbiare, così grida: “Sei solo un codardo!” – e la vocerisponde: “Sei solo un codardo!”

Perplesso, guarda suo padre e gli chiede cosa stesse succedendo. E il padre gli risponde: “Sta’ a vedere, figliolo!”, e poi urla: “Ti vogliobene!” – e la voce gli risponde: “Ti voglio bene!”.

Poi urla “Sei fantastico!” – e la voce risponde: “Sei fantastico!”Il bambino era sorpreso, ma ancora non riusciva a capire cosa stesse succedendo.

Così suo padre gli spiegò: “La gente lo chiama ‘eco’, ma in verità si tratta della vita stessa. La vita ti ridà sempre ciò che tu le dai: è uno specchio delle tue proprie azioni.

Vuoi amore? Dalle amore! Vuoi più gentilezza? Dalle più gentilezza. Vuoi comprensione e rispetto? Offrili tu stesso. Se desideri che la gente sia paziente e rispettosa nei tuoi confronti, sii tu per primo paziente e rispettoso. Ricorda, figlio mio: questa legge di natura si applica a ogni aspetto delle nostre vite.”Nel bene e nel male, si riceve sempre ciò che si dà: ciò che ci accade non sono buona o cattiva sorte, bensì lo specchio delle nostre azioni.

Grazie a Francesca per la storia.

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Dov’è il gusto?

Ecco un koan. Un maestro offrì al suo discepolo un melone.

«Come ti sembra?» gli domandò. «Ha gusto?»
«Oh, sì! Un gusto squisito!» rispose il discepolo.

Il maestro gli pose allora questa domanda:
«Dov’è il gusto, nel melone o nella lingua?»

Il discepolo riflettè e si addentrò nei meandri di un complesso ragionamento:
«Il sapore deriva dall’interdipendenza, non solo tra il gusto del melone e quello della lingua, ma anche dall’interdipendenza stessa…»

«Stolto! Tre volte stolto!» lo interruppe il maestro, in un impeto d’ira. «Perchè complichi il tuo modo di pensare? Il melone è buono. Basta questo per spiegarne il gusto. La sensazione è buona. Di altro non c’è bisogno.»

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L’ora del leone.

«A vostra disposizione.» dissi alla congrega, il che in pratica significava “Andate a fare in culo”. Ma certe cose, in questi casi, non le dici in maniera esplicita se vuoi che continuino a tenere l’amo sul pelo dell’acqua. Piuttosto interessante.

Un altro motivo del mio modo di fare brusco era la nostalgia del Dipartimento di polizia, noi lo chiamavamo “il Lavoro”, e in quel momento mi piangevo addosso e sognavo i bei giorni che furono.

Intercettai lo sguardo di Nick Monti. Non lo avevo conosciuto in servizio ma sapevo che aveva fatto il detective nell’unità investigativa, il che era perfetto per questo tipo di lavoro. Dicevano di aver bisogno di me per l’omicidio di quel palestinese e per altri delitti di matrice terroristica, per questo mi avevano offerto il contratto. «Lo sai perchè agli italiani non piacciono i Testimoni di Geova?» chiesi a Nick.

«No… perchè?»

«Perchè agli italiani non piace nessun testimone.»

La battuta provocò una sonora risata di Nick, ma gli altri tre mi guardarono come se avessi scorreggiato con il cervello. I federali, dovete sapere, sono così politically correct e anal-ritentivi, così terrorizzati dal catechismo del Pensiero di Washington, così intimiditi dalle direttive idiote che Washington emette come un costante flusso diarroico. Voglio dire, con il passare degli anni stiamo tutti più attenti a non offendere gli altri, a misurare le parole, e la cosa mi sta bene, ma i federali diventano decisamente paranoici all’idea di urtare qualcuno o qualche gruppo, così può capitare di sentire frasi del tipo “Salve, signor terrorista, mi chiamo George Foster e oggi sarà il funzionario addetto al suo arresto”.

L’ora del Leone“,
Nelson Demille – pag.32

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Il sogno WWW di Abigail.

Springfield, uno stato qualunque, USA.

L’ospedale in cui lavora Rebecca ha appena completato le proprie pagine WWW. Sono sorprendenti. Uno sfondo del colore tipico delle case, immagini dell’ ospedale stesso e in sottofondo le parole di uno dei medici che sostiene che si tratta di un ospedale divertente di cui i bambini non devono avere paura. Alcuni giochini e collegamenti agli ospedali degli altri paesi. Rebecca fa clic con il mouse e vede una nuova pagina colma di immagini, questa volta della stanza C212.

“Belle immagini”, pensa, “ma chi le gestisce ?”. Fa un lungo sospiro. “Dove sono le informazioni utili ?”, pensa Rebecca. Tutto ciò che riesce a trovare sono informazioni sull’orario di apertura del negozio di generi vari all’interno dell’ospedale. Rebecca si volta e osserva la libreria. Vi è una lunga serie di annotazioni prese quando studiava le malattie infantili in Africa. Per due anni aveva viaggiato in lungo e in largo nel continente nero parlando con i medici del luogo. Aveva effettuato un inventario delle diverse malattie prendendo nota di come i medici le curavano con i mezzi a loro disposizione. Tali annotazioni sono state solo parzialmente inserite sul computer con l’intenzione di scrivere, prima o poi, degli articoli.

Si compiace del proprio lavoro ma è dispiaciuta del fatto che non possa fornire il materiale a coloro che ne hanno bisogno. Improvvisamente, si gira e fissa lo schermo sul quale è ancora presente l’immagine della stanza C212. “Dovrei ?”, pensa, “Potrei ?”

La morte di un bambino

Africa, uno villaggio qualunque.

Mtshali si affligge. E’ un medico di un piccolo villaggio africano. Questa mattina ha assistito alla morte di un bambino nelle braccia della madre. L’ospedale più vicino è a cinque giorni di cammino; il bambino non ce l’avrebbe mai fatta. Nonostante la notevole esperienza, Mtshali era impotente; non aveva mai visto i sintomi presentati dal bambino. Alla luce del tramonto Mtshali siede da solo osservando l’orizzonte. “Qualcuno deve saperlo!”, pensa, ” Se soltanto potessi raggiungerlo.” Mtshali si rende conto che molti altri bambini morirebbero se fosse costretto a trovare rimedio da solo.

http://aboutmedsonline.com
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Il lavoro

Rebecca non esita un attimo. Definisce un rigido formato a cui devono attenersi tutti i files, in modo da trarre vantaggio dalla loro omogeneità e da poter effettuare ricerche con un programma. Trova quindi un programmatore disposto ad aiutarla. Impiega diverse settimane per immettere tutti i dati e convertire ciò che già esiste sul computer nel nuovo formato. Trascorre molte sere lavorando fino a mezzanotte.

Tutti si chiedevano dove trovasse tante energie. Non ci sono grafici, fa notare qualcuno, sono soltanto informazioni; la gente vuole sfondi eclatanti e stupidi suoni. Ma Rebecca procede con il lavoro spesso affiancata dal programmatore. E un giorno, dopo aver terminato, Rebecca mette a disposizione del mondo intero il proprio database sulle malattie infantili africane.

Il salvataggio di un bambino

Mtshali cammina. Ha lasciato il villaggio alle quattro del mattino e si trova a sette ore di cammino dalla scuola più vicina. La sua mente ritorna alla bambina che presenta gli stessi sintomi che avevano causato la morte dell’altro bimbo pochi mesi prima. Si sente impotente senza sapere che cosa fare per salvare la piccola. Ma ha sentito parlare di nuovi strumenti introdotti nella scuola che dovrebbero fornire molte risposte. Mtshali non sa di che si tratta e nemmeno come funziona. ma è disperato e disposto a trovare qualsiasi cosa che lo possa aiutare. Quando Mtshali arriva alla scuola, parla con il direttore, gli spiega il problema e il fatto che ha sentito parlare di questo nuovo aggeggio in grado di fornire numerose risposte.

Il direttore lo vuole aiutare? Il direttore lo presenta a una ragazza dell’ultimo anno che potrebbe aiutarlo a recuperare le informazioni sulla malattia. La ragazza conduce Mtshali nell’area computer della scuola. Accanto al generatore di elettricità c’è un vecchio PC e un vecchio VT100. Entrambi venivano utilizzati all’inizio degli anni ’80 in un’università europea e furono donati poi al terzo mondo quando si era deciso di passare a sofisticate workstation grafiche. La ragazza accende il computer e il monitor lentamente prende vita. Mtshali trattiene il respiro quando appaiono delle lettere sullo schermo. La ragazza prende un un’unità radio accanto al computer e stabilisce una connessione a un server distante alcune centinaia di chilometri.

Tale server dispone di una connessione mediante modem a 2400 baud a una macchina situata nella capitale dalla quale si raggiunge Internet via satellite. Ma Mtshali non sa tutto questo. Tutto ciò che vede sono messaggi che appaiono sullo schermo, lettera dopo lettera. La voce della ragazza interrompe le sue elucubrazioni. “Avete un bambino malato e non sapete cosa fare, non è vero?”, Mtshali annuisce e inizia a parlare dei sintomi. La ragazza lo interrompe educatamente dicendo: “Possiamo fare una sola cosa alla volta”. La ragazza si collega al server remoto e attiva un semplice browser basato su testo. Mtshali si siede accanto alla ragazza affascinato da ciò che sta succedendo. La ragazza, che ha ovviamente una certa esperienza, si collega a uno degli strumenti di ricerca su Web e dopo alcuni tentativi, trova il database di Rebecca. “E’ probabile che troveremo qui le informazioni che ci servono”, sostiene la ragazza, lasciando che Mtshali legga lo schermo. Mtshali non può che annuire.

Trovano lo strumento di ricerca sviluppato da Rebecca e dal programmatore e con l’aiuto della ragazza, Mtshali immette i dati. Clic su pulsante e lentamente le pagine che descrivono diversi tipi di malattie e le relative cure appaiono sullo schermo. Mtshali legge e rilegge ancora, facendo annotazioni mentali e su carta, mentre la ragazza naviga. Il tramonto li costringe a interrompere. La mattina successiva, Mtshali ritorna al villaggio pieno di speranza.

Epilogo

Alcune settimane dopo, Rebecca riceve una lettera dall’Africa. Trova alcune difficoltà nel decifrare la scrittura manuale. Proviene da un vecchio medico che la ringrazia e spiega come il suo database ha salvato la vita a un bambino. Contiene anche una descrizione del modo in cui la malattia ha aggredito il bambino e ciò che ha fatto il medico oltre alle azioni descritte sulle sue pagine. La stessa notte, Rebecca aggiorna le pagine.

(C)1995 di Abigail Martian, ristampa permessa. E’ possibile trovare questa pagina sul sito web di Abigail all’indirizzo: http://www.iaf.nl/~abigail/abigail.html

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Tu hai voluto.

« Tu hai voluto. Vedi, Kamala, se tu getti una pietra nell’acqua, essa si affretta per la via più breve fino al fondo. E così è di Siddharta, quando ha una meta, un proposito. Siddharta non fa nulla.

Siddharta pensa, aspetta, digiuna, ma passa attraverso le cose del mondo come la pietra attraverso l’acqua, senza far nulla, senza agitarsi: viene scagliato, ed egli si lascia cadere. La sua meta lo tira a sé, poiché egli non conserva nulla nell’anima propria, che potrebbe contrastare a questa meta.

Questo è ciò che Siddharta ha imparato dai Samana. Questo è ciò che gli stolti chiamano magia, credendo che sia opera dei demoni.

Ognuno di noi può compiere opera di magia, ognuno può raggiungere i propri fini, se sa pensare, se sa aspettare, se sa digiunare. »

Siddharta“,
Herman Hesse – pag.97

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Confucio’s theory.

Un allievo interrogò Confucio a proposito dell’arte di governare: «Cosa rende un uomo degno di far parte di coloro che ci governano?»

Confucio rispose: «Pratica i cinque gradi della perfezione dell’onore, e liberati delle quattro perversioni. Allora potrai far parte del governo.»

L’allievo chiese: «Cosa sono i cinque gradi della perfezione?»

Confucio rispose: «I buoni sono generosi senza mai cadere nella dissipazione, lavorano indefessamente senza mai lamentarsi, desiderano senza manifestare alcun tipo di avidità, e sono coperti d’onore senza aver bisogno di usare la forza.»

L’allievo chiese: «Cosa vuol dire essere generosi senza mai cadere nella dissipazione?»

Confucio rispose: «Far del bene al prossimo in base a ciò che il tuo prossimo ritiene sia un bene. Non è questa la generosità assoluta che non è mai sprecata?»

Confucio proseguì: «Se c’è chi lavora indefessamente, dopo aver scelto a cosa debba dedicare tutte le sue energie, chi dovrebbe lamentarsi? Se vuoi essere pietoso e pratichi effettivamente la pietà, allora perchè dovresti essere avido? Chi è colto non è mai avventato, sia nelle piccole cose che in quelle grandi, sia nelle scelte importanti che in quelle insignificanti, sia preso i giovani che presso i vecchi: questo non vuol dire vivere in pace senza essere arroganti? Chi è colto indossa i panni che gli sono propri ed ha un portamento solenne, perchè gli altri guardandolo ne abbiano timore: questo non significa venire onorati senza usare la forza?»

L’allievo chiese: «Cosa sono le quattro perversioni?»

Confucio rispose: «Punire senza aver prima messo in guardia: questa si chiama crudeltà. Valutare i risultati senza aver insegnato come perseguirli: questa si chiama brutalità. Reggere fiaccamente le sorti di un’impresa fino a sboccare in un vicolo cieco: questa si chiama cattiveria pura. Essere avari nel dare agli altri ciò che gli si deve: questa si chiama burocrazia». (20:4)

La saggezza di Confucio“,
Thomas Cleary – pag.54

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I have a dream.

« L’odio danneggia chi lo prova non meno di chi lo subisce; come un cancro senza freni, l’odio corrompe il carattere ed erode l’unità vitale della persona. Molti nostri conflitti interiori sono radicati nell’odio. Per questo gli psicologi dicono: “Amare o perire”. L’odio è un fardello troppo pesante da portare.

L’umanità aspetta qualcosa di diverso dalla cieca imitazione del passato. Se vogliamo davvero fare un passo in avanti, se vogliamo voltare pagina e davvero costruire un uomo nuovo, dobbiamo cominciare a distogliere l’umanità dalla notte lunga e desolata della violenza.

Longfellow dice: ” In questo mondo l’uomo dev’essere o incudine o martello”. Noi dobbiamo essere martelli che foggiano una nuova società, e non incudini foggiate da quella vecchia. »

I have a dream“,
Martin Luther King – pag.340
(Oscar Storia Mondadori)

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Cosa c’entra? – Seconda parte.

SECONDA PARTE, chi resta ?

Generalmente inizio le mie indagini con il calar della marea perché riesco a trovare più paguri, ma questa volta ho deciso di iniziarle dall’inizio, anche perché se iniziavo da metà avrei dovuto metaziarle.

L’unica traccia che avevo era una macchia di nutella sul vestito di Tommaso, tanta quanta ne mancava dal vasetto della zia della vittima, per cui non potevano esserci dubbi, il colpevole era certamente il papa’ del procuratore distrettuale, in quanto non può mangiare la nutella perché gli provoca riscaldo intestinale, ma un dubbio atroce mi tormentava notte e giorno, tanto che alla fine ho chiesto il divorzio perchè era troppo possessivo: la nutella ha più calorie dello yoghurt o no ?

La vittima è stata ammazzata stamattina alle quattro e mezzo del mattino e, visto che oggi siamo lunedì e ieri era domenica, domani con tutta probabilità sarà martedì.

Daitan potrebbe essere uno dei sospettati, visto che si faceva sempre la sorella di Goldrake, tanto che un giorno, il papa’ di Goldrake s’incazzò talmente tanto da non rivolgere più la parola ad Actarus, ma questi sono affari di famiglia e chi li gestisce è Kento Kuruma, per cui il colpevole è il suo gatto che ha lasciato lo zampino sul lardo.

Bisogna tener d’occhio anche Heidi e Anna dai Capelli Rossi – Ra perché con i loro occhioni belli belli, riescono a cucinare un uovo sodo in meno di tre giorni e a servirlo in meno di un anno e a me servono proprio delle brave cameriere.

A proposito, vi ricordo che è consigliabile la lettura ad un pubblico adulto, visto che io giro sempre nudo per casa, anche perché a volte mi capita di puzzare come un Maialino Casto delle Galapagos, il che non va certamente a mio vantaggio.

Bene, dopo questa piccola parentesi, a volte un po’ tonda, a volte un po’ no (si sa come le parentesi abbiano un carattere un po’ scostante), torniamo a bombolone sul nostro caso.

Era giorno, ma vista l’eclissi era notte, per cui dormivo con gli occhiali da sole e mi sognai, in un sogno rivelatore, di chiedermi perché i Misteri dell’Universo difendono così misteriosamente la loro praivasi (leggi privacy), dico, perché fanno i misteriosi ?… forse per celare un segreto scottante che si può ricollegare al mio caso, o, forse, sono ancora un po’ timidi, vanno aiutati, forse, a uscire dal loro guscio materno ?

Hanno il complesso di Edipo o suonano da soli, forse pensano che è meglio soli che male accompagnati, ma chi li accompagna se nessuno di loro sa suonare un piffero ?

Ed ecco che ad un certo punto, come d’incanto, mi sveglio e poi un’illuminazione… ancora adesso mi sto chiedendo quale dei più deficienti esseri viventi abitanti sulla Terra ha avuto il coraggio di accendere la mia piletta da boy-scout da 2500W e scappare come neanche un vigliacco sa fare, per cui non arrivai a nessun punto, a nessuna virgola e, tantomeno, a nessuna punteggiatura, anche perché ho sempre avuto l’insufficienza renale in Italiano.

Ma continuiamo col racconto:

Era un giorno come tanti altri e tanti altri erano come un giorno, mentre stendevo la biancheria pensavo a come risolvere il caso… stendendo, stendendo, fui colto come da un’illuminazione e, usando tutti i termini a mia conoscenza, maledii quel fetente che mi stava riflettendo i raggi del sole negli occhi per dimostrarmi che: “E’ meglio uno spiraglio di sole, che mangiarsi un paio di suole!” o, almeno, così diceva.

Ma abbandonai l’idea di spedirlo in Alaska a vendere condizionatori, con dei ghiaccioli alla menta glaciale come unica scorta di viveri e continuai a tormentare i miei pensieri per risolvere il caso:

…perché, perché…” mi chiedevo, ma intuii che se non davo un sostantivo ai miei perché, non sarei mai riuscito a rispondermi.

Era un’impresa ardua, ma anche ambita da molti, questo causò in me un forte turbamento, finché chiesi a me stesso se continuare ad interrogarmi sui Misteri del Mondo o continuare il caso.

Tutto ad un tratto accusai un dolore lancinante al piede destro, poteva essere la mia vecchia ferita di guerra, ed invece era lo stesso deficiente di prima che, piantandomi una forchetta nel piede, mi disse:

Meglio un dolore al callo, che far l’amore con un cavallo!”.

In quell’attimo, con tutta la delicatezza possibile che un brontosauro può avere, gli sfracellai in testa “Il Mistero del Mondo”, un volume di 2532 pagine più un opuscoletto omaggio, ma prima di esalare l’ultimo respiro disse:”…è meglio una botta tosta che farsi violentare da un’aragosta!”.

Fu un momento molto duro per me, li per li stavo per decidere di mollare tutto, la per la decisi che forse era meglio continuare, anche per distarmi dell’accaduto, qui per qui, invece, feci la cosa più saggia… andai al bagno… tutta quell’emozione mi aveva stimolato e, si sa, noi stitici in queste occasioni dobbiamo approfittarne.

Ora sono passati dieci anni da quella volta e nulla è cambiato, tranne la pizzeria all’angolo, il parcheggio dei bus, la trattoria sul ponte, la mia casa, la commessa del negozio di scarpe, il barista della discoteca, il vigile delle 7 e 30, i fiori del giardino di nonna Alamarda, il camion di zio Giuseppe Battista Alvesio Teodorindo Tamarindo 4 e ½, e la bambina del piano di sotto che ora ha ventiquattro anni con sette figli a carico e ventidue cugini da allattare, che poi devo ancora capire perché dei baldi ventenni come loro abbiano ancora bisogno di essere allattati… mah !

A parte tutto questo, in me sono cambiate tante cose, che al momento non mi vengono in mente e per cui non vi posso dire.

Qui finisce il racconto, finisce la mia pazienza, la mia penna, il mio conto in banca, la spesa, il dentifricio della prozia del cugino del vicino del panettiere che abita al piano di sotto della cugina dello zio del nipote della madre del muratore di suo figlio, che è sempre fuori, l’acqua per i gargarismi di Teodoaclo Trippolettadeicigni, chiamato “Raid 401 li ammazza tutti in solo colpo preservandoli dalle infezioni” a causa del suo alitaccio, e le scarpe di Tashiro Taideku, che è di Campobasso, ma si chiama così perché a sua mamma sono sempre piaciuti i cartoni animati giapponesi.

Questo è tutto, vi lascio con questo bagaglio culturale (io prendo solo il beauty-case che pesa meno e poi ci vediamo in stazione), e termino con un quesito che non riuscirò mai a risolvere:

E’ vero che il Fagiano Nano delle Clotildiche (una serie di atolli felici a sud di Bolunubindu di Sotto) riesce a pulirsi le unghie più veloce della Libellula Ghiottona della Grossolania ?”.

Ritagliate il tagliando qui sotto e speditelo in marsupio chiuso a:


Caso più, Caso meno, sinceramente non me ne sbatte un Caso
Casella postale 610106
Culatello di Sotto