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Summer thoughts.

Sarebbe facile dimostrare che la mia vita è stata povera di successi, nel campo finanziario come in quello amoroso. Ma nessuno potrebbe sostenere che è stata povera di eventi.

Gli eventi ultimamente erano stati cosi tanti da convincermi di aver esaurito la scorta di congiunture assurde che mi era stata assegnata, al punto di trovarmi con la legge delle probabilità a mio favore: la mia esistenza futura sarebbe stata relativamente tranquilla. Almeno fino all’arrivo della vecchiaia, quando avrei preso dimora in una scatola di cartone sotto un cavalcavia della Statale 59, cacando dietro i cespugli e leccando la salsa avanzata dall’involucro dei Big Mac. Era il modo in cui credevo che la maggior parte di noi, venuti al mondo durante il boom delle nascite, avrebbe terminato la corsa. Niente assistenza medica. Niente assicurazione. Niente milioni di dollari messi via per la vecchiaia. Forse non avremmo avuto neppure la scatola di cartone, e non era una certezza neanche il cespuglio dietro il quale fare la cacca.

L’età del rimbambimento per me era ancora lontana, ma comunque molto più vicina di quanto mi piacesse pensare. C’erano giorni in cui speravo di non raggiungere la meta geriatrica della scatola di cartone, rigida e sporca sotto un cavalcavia, con un involucro di Big Mac stretto in mano. Ma neppure desideravo passare nell’aldilà sul letto bianco di una casa di riposo, con un piatto di puré di piselli sul vassoio e un tubo di plastica nell’uccello.

Rumble Tumble“,
J.R. Lansdale – pag. 1
(Einaudi, 2004)

Segnalato da: Lorenzo

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Il Dojo.

Il dojo è il luogo in cui si pratica la meditazione, è bodhimanda, in sanscrito, «luogo di saggezza». L’ambiente deve essere calmo, sereno, immerso in un perfetto silenzio. Nulla deve potere attirare lo sguardo, per non turbare la concentrazione spiriturale.

Il dojo deve essere tenuto in condizioni perfette: avrà una temperatura costante, vi farà fresco d’estate e d’inverno ci sarà un confortevole tepore. Vi sarà sempre un gradevole odore, perchè coloro che praticano zazen dovranno curare sempre la propria pulizia e ogni sentore corporeo dovrà essere rigorosamente bandito.

La tradizione richiede che un altare si innalzi al centro del dojo, oppure a uno dei lati, adorno di un’immagine o di una statua del Buddha, con fiori sempre freschi e il profumo dell’incenso aleggiante ovunque.

Il vero zen“,
Taisen Deshimaru – pag. 28
(Piccoli Saggi, Oscar Mondadori)

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Il ladro di anime.

«Non ti muovere» l’avvertì St. Clair. «Il ballerino è uno yurydivey, un folle. Persino lo zar tratta con rispetto quelli come lui.» Il gesuita le si accovacciò accanto. «Sembra che tu le piaccia.»

Lo yurydivey si fermò di colpo per osservare a occhi sbarrati la piccola croce di metallo al collo del gesuita, poi avanzò prudente, la mano tesa a carezzargli il viso come farebbe una mamma con il suo piccino.

«Problemi?» domandò Cowper avvicinandosi.

Lo yurydivey, adesso a quattro zampe, si avvicinò a St. Clair come un cane, strusciandosi contro le sue gambe. Aveva gli occhi sgranati per lo stupore, scuoteva la testa come se non riuscisse a credere a quel che vedeva. D’un tratto si prostrò, battendo tre volte la fronte per terra. St. Clair gli sfiorò i capelli dicendo qualche parola in russo. Lo yurydivey si alzò di scatto, battè le mani e se ne andò danzando e cantando a squarciagola.

«Bene, hai reso felice un russo» disse Cowper con tono acido, poi osservò gli altri due. «Cos’hai di speciale? Pensavo che i russi si prostrassero solo davanti alle icone e agli oggetti sacri.»

«Porto la croce» rispose St. Clair semplicemente. «E in Russia il labbro leporino è segno di favore divino, significa che Rebecca è stata baciata da un angelo.»

Rebecca avrebbe voluto protestare, ma si sforzò di tenere a freno la bocca. Lo yurydivey era apparso intrigato dalla sua presenza, ma aveva dimostrato un rispetto genuino solo per St. Clair.

«Forza!» Il gesuita si drizzò, facendo segno ai facchini di muoversi. «Alloggeremo in una kibak, una tipica taverna russa. Bagni caldi, buon cibo, poi si riparte.»

Il ladro di anime“,
Paul Doherty – pag. 251-252
(Piemme Pocket)

latisse for sale

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Crescere.

Dopo un pò impari la sottile differenza tra tenere una mano e incatenare un’anima.

E impari che l’amore non è appogiarsi a qualcuno e la compagnia non è sicurezza.

E inizi a imparare che i baci non sono contratti e i doni non sono promesse.

E incominci ad accettare le tue sconfitte a testa alta e con gli occhi aperti con la grazia di un adulto non con il dolore di un bimbo.

Ed impari a costruire tutte le strade oggi perchè il terreno di domani è troppo incerto per fare piani. Dopo un pò impari che il sole scotta, se ne prendi troppo.

Perciò pianti il tuo giardino e decori la tua anima, invece di aspettare che qualcuno ti porti i fiori. E impari che puoi davvero sopportare, che sei davvero forte, e che vali davvero.

(Anonimo)

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Ricomincia.

Se sei stanco e la strada ti sembra lunga, se ti accorgi che hai sbagliato strada, …Non lasciarti portare dai giorni e dai tempi, Ricomincia.

Se la vita ti sembra troppo assurda, Se sei deluso da troppe cose e da troppe persone …Non cercare di capire il perché, Ricomincia.

Se hai provato ad amare ed essere utile, Se hai conosciuto la povertà dei tuoi limiti, …Non lasciar là un impegno assolto a metà, Ricomincia.

Se gli altri ti guardano con rimprovero, Se sono delusi di te, irritati, …Non ribellarti, non domandar loro nulla, Ricomincia.

Perché l’albero germoglia di nuovo dimenticando l’inverno, Il ramo fiorisce senza domandare perché, E l’uccello fa il suo nido senza pensare all’autunno, Perché la vita è speranza e sempre ricomincia.

(Anonimo)

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13 spunti per la vita.

  1. Ti amo non per chi sei ma per chi sono io quando sono con te.
  2. Nessuna persona merita le tue lacrime, e chi le merita sicuramente non ti farà piangere.
  3. Il fatto che una persona non ti ami come tu vorresti non vuol dire che non ti ami con tutta se stessa.
  4. Un vero amico è chi ti prende per la mano e ti tocca il cuore.
  5. Il peggior modo di sentire la mancanza di qualcuno è esserci seduto accanto e sapere che non l’avrai mai.
  6. Non smettere mai di sorridere, nemmeno quando sei triste, perché non sai chi potrebbe innamorarsi del tuo sorriso.
  7. Forse per il mondo sei solo una persona, ma per qualche persona sei tutto il mondo.
  8. Non passare il tempo con qualcuno che non sia disposto a passarlo con te.
  9. Forse Dio vuole che tu conosca molte persone sbagliate prima di conoscere la persona giusta, in modo che, quando finalmente la conoscerai, tu sappia essere grato.
  10. Non piangere perché qualcosa finisce, sorridi perché è accaduta.
  11. Ci sarà sempre chi ti critica, l’unica cosa da fare è continuare ad avere fiducia, stando attento a chi darai fiducia due volte.
  12. Cambia in una persona migliore e assicurati di sapere bene chi sei prima di conoscere qualcun’altro e aspettarti che questa persona sappia chi sei.
  13. Non sforzarti tanto, le cose migliori accadono quando meno te le aspetti.

Tutto quello che accade, accade per una ragione.“,
Gabriel García Márquez

http://anti-inflammatory-medication.info
http://stop-infections.net

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Cos’è lo Zen?

«Lo Zen» disse il Maestro Deshimaru «non è una filosofia, né una psicologia, né una dottrina. Lo Zen è al di là del filosofie, dei concetti, delle forme. La sua essenza non è esprimibile in parole. Solo praticandolo lo si può comprendere. Il segreto dello Zen consiste nel rimanere seduti, semplicemente, senza scopo e senza spirito di profitto, in una posizione di grande concentrazione. Lo Zen è essenzialmente un’esperienza… un mezzo per “svegliarci” a noi stessi, “qui e ora”, nella perfezione dell’istante.»

Secondo il successore di Kodo Sawaki, energico riformatore dello Zen in direzione di un ritorno alle origini, è fondamentale far risalire lo Zen alle sue fonti – quella indiana, poi quella cinese – e riconoscere la discendenza dei Grandi Maestri, dai tempi antichi fino ai giorni nostri.

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Feng Shui e Ch’ì.

Cos’è il feng shui?

Feng Shui (da pronunciare fung shway, letteralmente: vento e acqua) ha una tradizione millenaria e in generale potremmo definirlo come: l’arte di armonizzare l’ambiente che ci circonda con il nostro campo vitale. Il Feng Shui deriva il suo nome dai due principali elementi naturali capaci di modificano la forma del territorio: il vento e l’acqua.

feng - ventoshui - acqua

I principi di quest’arte nata in Cina più di quattromila anni fa, si rifanno all’ I’Ching o Libro dei Mutamenti, fondamento di quasi tutta la filosofia cinese tradizionale.

Si è sviluppato nel vasto oceano culturale della Cina antica che, tra i suoi fondamenti etici, aveva il culto degli antenati, nel senso che l’avo continuava ad avere una relazione con i suoi discendenti anche post mortem ovvero se il suo “ambiente” era favorevole, ne beneficiavano anche i suoi discendenti. Questa è stata la ragione che ha spinto gli antichi sciamani a trovare il sito più adatto dove posizionare le tombe e solo successivamente è stato applicato anche alle case dei vivi e alle città, divenendo arte del costruire.

Rif: http://www.zenhome.it/zen-casaF1.htm

Cos’è il Ch’ì?

E’ l’energia vitale, il soffio vitale, il principio olistico in assoluto. Il Ch’ì è l’energia che porta benessere e vita in casa nostra e per questo deve aver la possibilità di entrare agevolmente dalle vie d’accesso, quindi porte e finestre. Una volta entrato deve però essere facilitato nel suo scorrere in tutta la casa, in tutte le stanze.

Il Ch’ì reagisce esattamente come noi. Quando il nostro corpo fisico è impedito nei movimenti (quando, ad esempio, facciamo fatica ad aprire una porta perché magari dietro c’è un ammasso di cianfrusaglie accatastate o quando inciampiamo su oggetti o ci facciamo male sugli spigoli) allora anche il Ch’ì non scorre bene.

E’ importante farsi costantemente questa domanda per entrare in profonda relazione con l’energia della nostra casa e rispondersi, però, sinceramente: in questa casa, in questa stanza ci sto bene oppure mi sento a disagio, fuoriluogo? Dormo bene o mi sveglio stanco? Se state bene in casa vostra significa che si respira un buon Ch’ì; se invece non state bene allora il Ch’ì è malato e deve essere curato. Il Ch’ì “malato” viene chiamato Sha Ch’ì. E si cura con i rimedi feng shui, ma talvolta anche solo con il buon senso e l’intuito. E’ importante recuperare fiducia in se stessi e ascoltarsi di più. Il feng shui insegna l’indipendenza e la libertà dagli schemi e dai dogmi. Certo, regala consigli utili per imparare a percepire l’energia e a risistemarla ma se un rimedio feng shui funziona, funzionerà certamente cento volte in più se lo mettiamo in essere con gioia e serenità. Ricordiamoci che la nostra casa rappresenta il nostro corpo più grande e ci nutre d’energia ma respira anche della nostra energia.

Rif: http://www.feng-shui.nu/ilchi.php

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Il memoriale delle 10.000 parole.

“Per gli antichi era di estrema importanza scegliere scrupolosamente gli alti funzionari. Poi questi funzionari sceglievano uomini abili e capaci del loro stesso livello, li chiamavano a corte e li distribuivano nei vari dipartimenti e nei ministeri; così in ogni posizione c’erano persone di valore.

Adesso persone senza nessuna capacità, solo per caso o per fortuna, si trovano a ricoprire incarichi di responsabilità, chiamano a corte quelli del loro stesso livello e riempiono il governo di persone inette e incapaci; per questo motivo ora a corte sono tanti gli incompetenti.”

Secondo una pagina della Storia dei Song il primo imperatore Song, Zhao Kuangyin, riconfermò in questo modo i suoi generali:

«L’imperatore li invitò tutti a banchetto e quando la compagnia, dopo aver abbondantemente bevuto, fu di ottimo umore, disse: “I miei sonni non sono traquilli.” “Per quale motivo?” chiesero Shi Shou Xin e gli altri generali? “Non è difficile capirlo,” rispose l’imperatore “chi di voi non aspira al mio trono?” I generali si inchinarono profondamente e tutti protestarono: “Perché Vostra Maestà parla così? Il mandato del Cielo è ormai stabilito. Chi può avere propositi di tradimento?” L’imperatore replicò: “Non ho dubbi sulla vostra lealtà, ma se un giorno uno di voi venisse svegliato all’alba e costretto a indossare la veste gialla, anche contro la sua volontà, come potrebbe sottrarsi all’obbligo di rovesciare i Song (proprio come io fui costretto a rovesciare gli Zhou)?”.

Tutti protestarono che nessuno di loro aveva capacità sufficienti per essere sospettato di una cosa simile, e gli chiesero consiglio. L’imperatore disse: “La vita umana è breve. La felicità consiste nell’avere ricchezze e mezzi per godere la vita e nel poter trasmettere la stessa prosperità ai propri discendenti. Se voi, miei ufficiali, rinunciaste all’autorità militare e vi ritiraste nelle province scegliendo le terre migliori e i luoghi più piacevoli per trascorrere il resto della vita gradevolmente e pacificamente, fino alla tarda vecchiaia e alla morte, questo non sarebbe forse preferibile a una vita incerta e piena di pericoli? Affinché non rimangano ombre di sospetto tra principe e ministri, uniremo le nostre famiglie con matrimoni, e così, governanti e sudditi legati da vincoli di fratellanza e di amicizia, vivremo in tranquillità…”.

Il giorno seguente tutti i comandanti militari presentarono le dimissioni, e con il pretesto di malattie, si ritirarono nelle residenze di campagna, dove l’imperatore, colmandoli di splendidi doni, conferì loro alte cariche civili.» – (Song Shi, cap. 250)

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Il Memoriale Delle 10.000 Parole“,
Wang An Shi – pag.118-119
(Piccoli Saggi – Oscar Mondadori)

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Il principe dell’Annwn.

Lasciò cadere la spada; era stato terribilmente arduo abbassare il braccio senza usarla. Distolse lo sguardo da quegli occhi azzurri nel quale moriva la speranza. Disse, cercando di tenere ferma la voce: «Signore, potrei pentirmi di quello che ho fatto. Chi ne ha il coraggio ti uccida. Non voglio macchiarmi le mani con altro sangue tuo.»

Havgan sospirò profondamente. Disse solo: «Fa’ venire i miei uomini. I capi del mio esercito.»

Arrivarono, quegli uomini d’Oriente dalla barba nera. Emersero da quell’ombra incerta e attraversarono le acque insanguinate. Si assieparono intorno al loro Signore e Havgan prese la mano di ognuno e la strinse. Un debole riflesso della sua antica bellezza gli illuminava il viso.

«Troppo presto abbiamo lasciato gli antichi templi di Cuthah, nel Sumer vicino al Sole Nascente. Gli Dei dell’Oriente regneranno in Occidente, ma non per ora. Portatemi via di qui, miei fedeli. Non posso guidarvi oltre.»

Sempre piangendo, essi fecero un leto con i loro mantelli. Lo sollevarono e lo portarono via, in quell’Ombra che avevano creato. Pwyll e i suoi uomini, guardandoli allontanarsi, videro che mentre attraversavano il guado le tenebre si erano diradate, ritirandosi verso il basso. Come un mantello, esse caddero dai cieli che avevano oscurato, e questi risplendettero di nuovo, limpidi, immensi e senza macchia. Ciò che era sembrato tanto enorme e mostruoso, una sfida allo stesso infinito, si ridusse a un piccolo alone buio che avvolgeva quegli uomini piangenti e il loro carico. Attraverso quel nero giungeva il loro triste lamento funebre; poi la lontananza li inghiottì. Allora tutto si quietò; la luna rischiarò di nuovo le due sponde del guado, tranquilla come nell’obliato Principio. Delicata, come mano materna su un fanciullo ammalato, la sua luce carezzava quella desolata terra ferita.

E Pwyll pensò semplicemente, gioiosamente: Ora posso tornare a casa. Poi ricordò, con un intimo gemito, qual è il dovere di un Re prima di tornare a casa a festeggiare la vittoria. «Miei Signori, seguiamoli, e vediamo che cosa dev’esser fatto per queste terre che ora sono di nuovo mie. E anche quali uomini dovrebbero essere miei vassalli.»

Ad una voce essi risposero: «Signore, tutti gli uomini dovrebero essere tuoi vassalli, perché ancora una volta non c’è altro Re in tutto l’Annwn all’infuori di te.»

Il ritorno a casa

In groppa al Grigio di Arawn, Pwyll, Principe del Dyved, rientrò al galoppo nella verde radura di Glen Cuch: quella radura dove il cervo aveva trovato la sua fine e tante altre cose il loro principio.

I Mabinogion“,
Evangeline Walton – pag.67
(TEA)