Lasciò cadere la spada; era stato terribilmente arduo abbassare il braccio senza usarla. Distolse lo sguardo da quegli occhi azzurri nel quale moriva la speranza. Disse, cercando di tenere ferma la voce: «Signore, potrei pentirmi di quello che ho fatto. Chi ne ha il coraggio ti uccida. Non voglio macchiarmi le mani con altro sangue tuo.»
Havgan sospirò profondamente. Disse solo: «Fa’ venire i miei uomini. I capi del mio esercito.»
Arrivarono, quegli uomini d’Oriente dalla barba nera. Emersero da quell’ombra incerta e attraversarono le acque insanguinate. Si assieparono intorno al loro Signore e Havgan prese la mano di ognuno e la strinse. Un debole riflesso della sua antica bellezza gli illuminava il viso.
«Troppo presto abbiamo lasciato gli antichi templi di Cuthah, nel Sumer vicino al Sole Nascente. Gli Dei dell’Oriente regneranno in Occidente, ma non per ora. Portatemi via di qui, miei fedeli. Non posso guidarvi oltre.»
Sempre piangendo, essi fecero un leto con i loro mantelli. Lo sollevarono e lo portarono via, in quell’Ombra che avevano creato. Pwyll e i suoi uomini, guardandoli allontanarsi, videro che mentre attraversavano il guado le tenebre si erano diradate, ritirandosi verso il basso. Come un mantello, esse caddero dai cieli che avevano oscurato, e questi risplendettero di nuovo, limpidi, immensi e senza macchia. Ciò che era sembrato tanto enorme e mostruoso, una sfida allo stesso infinito, si ridusse a un piccolo alone buio che avvolgeva quegli uomini piangenti e il loro carico. Attraverso quel nero giungeva il loro triste lamento funebre; poi la lontananza li inghiottì. Allora tutto si quietò; la luna rischiarò di nuovo le due sponde del guado, tranquilla come nell’obliato Principio. Delicata, come mano materna su un fanciullo ammalato, la sua luce carezzava quella desolata terra ferita.
E Pwyll pensò semplicemente, gioiosamente: Ora posso tornare a casa. Poi ricordò, con un intimo gemito, qual è il dovere di un Re prima di tornare a casa a festeggiare la vittoria. «Miei Signori, seguiamoli, e vediamo che cosa dev’esser fatto per queste terre che ora sono di nuovo mie. E anche quali uomini dovrebbero essere miei vassalli.»
Ad una voce essi risposero: «Signore, tutti gli uomini dovrebero essere tuoi vassalli, perché ancora una volta non c’è altro Re in tutto l’Annwn all’infuori di te.»
Il ritorno a casa
In groppa al Grigio di Arawn, Pwyll, Principe del Dyved, rientrò al galoppo nella verde radura di Glen Cuch: quella radura dove il cervo aveva trovato la sua fine e tante altre cose il loro principio.
“I Mabinogion“,
Evangeline Walton – pag.67
(TEA)